COPIO E INCOLLO DA “PAGINE MARXISTE” (http://www.paginemarxiste.it/modules.php?name=Archivio&pa=showpage&pid=357&fbclid=IwAR0hkgQpjfdhqEuBEeRqsQFaeKOKRCGJXSRQkDsRzmLGg3RQGDFrZ8LGiOM)

O TUTTI DENTRO, O TUTTI FUORI!
Balvano 1944, la strage degli affamati, la strage dimenticata

Nella notte tra il 2 ed il 3 marzo di settant’anni fa, nelle gole selvagge del fiume Platano in Basilicata, si verificò la più grave sciagura ferroviaria di sempre. Il treno merci 8017, partito da Napoli e diretto a Potenza, entrò nella galleria delle Armi, poco dopo la stazione di Balvano, per non uscirne mai più. I morti furono oltre seicento: quello che era un treno merci, dunque teoricamente presenziato solo da macchinisti, fuochisti, frenatori e da una piccola pattuglia di militari, in realtà trasportava centinaia di persone, in gran parte provenienti dalla Campania, dirette a Potenza nella speranza di acquistare viveri.
Quella di Balvano fu una strage. Una strage impunita: nessuno venne mai condannato. Una strage da dimenticare, dimenticata: solo poche righe nei lanci d’agenzia. Morti da dimenticare: più vittime del Titanic, ma si trattava di anonimi affamati; accatastati sul marciapiede della stazione in attesa che in tutta fretta si scavassero le fosse comuni, dove la maggior parte di loro finì prima che i parenti potessero giungere sul posto a reclamarne le spoglie.
Perché tutto questo?

Da oltre cinque mesi la Basilicata era stata conquistata dagli Alleati, che continuavano l’avanzata verso nord coi bombardieri dell’aviazione britannica RAF e quella australiana RAAF che decollavano dalle basi libiche scaricando bombe sugli obiettivi strategici ma seminando morte anche fra i civili. Gli Alleati erano entrati a Potenza il 22 settembre 1943. Nel Regno del Sud gli Alleati controllavano l’impalcatura amministrativa, lo stesso valeva per le ferrovie, dove il personale FS era assoggettato in toto al Military Railway Service, che utilizzava le linee per le proprie esigenze, dal trasporto di truppe a quello delle merci.Per alcune zone in quei giorni confusi era difficile garantire l’approvvigionamento di viveri sul posto; per cui, come succedeva nel Napoletano, ogni giorno centinaia di persone partivano verso la Basilicata, dove il raccolto permetteva un’offerta di farina e prodotti alimentari non disponibile in altre zone. I contadini del Potentino cedevano generi alimentari ricevendo in cambio vestiario, posate, lenzuola, coperte. L’unico mezzo per arrivare sul posto era il treno: essendo scarso il traffico viaggiatori (e i soldati avevano la precedenza), gli affamati si riversavano sui treni merci. Le autorità alleate, per prevenire gli assalti ai treni merci, installarono presidi armati nelle principali stazioni, con scarsi risultati. I treni venivano presi d’assalto, spesso in punti non presidiati, e si utilizzavano tutti gli spazi disponibili, respingenti e tetti dei carri compresi, spesso con tragiche conseguenze. Il treno 8017 del 2 marzo era trainato da due locomotive a vapore, una 480 in testa ed una 476 di fabbricazione austriaca, ceduta all’Italia per riparazione dei danni della prima guerra; entrambe le locomotive erano indicate per percorsi di montagna.A Battipaglia vennero agganciati al treno altri 24 carri, in aggiunta ai 24 originari, di cui uno occupato da militari in trasferimento. 48 carri (520 tonnellate) per due locomotive: sulla carta, la prestazione era sufficiente a superare le rampe della linea dove, però, una disposizione stabiliva in 350 tonnellate la massima massa rimorchiabile.Battipaglia fu l’ultima stazione dove vennero effettuati i controlli: scoppiarono tafferugli tra la polizia militare alleata e i viaggiatori che avevano trovato posto sul treno; una parte di questi venne fatta scendere e allontanare e, paradossalmente, fu la loro salvezza. Nelle fermate alle stazioni successive salirono altri clandestini, alcuni già respinti in precedenza.Il pericolo principale per ferrovieri e viaggiatori era costituito dal monossido di carbonio prodotto dai fumi delle locomotive, che ristagnava nelle gallerie. Macchinisti e fuochisti sovente si coprivano il volto con fazzoletti inzuppati, il che non sempre impediva di perdere conoscenza e svenire.Ma un ulteriore dettaglio aggravava la situazione. Fino all’8 settembre 1943 il carbone per le locomotive giunse dai bacini carboniferi della Ruhr; con l’avvento degli Alleati il carbone arrivò dall’America, e si trattava di una qualità decisamente inferiore (“piccola pezzatura e molto     zolfo”), che costringeva ad aumentare i consumi, con maggior produzione di scorie nelle caldaie e minore resa, il tutto in strette gallerie dalla scarsa areazione. Dopo l’ennesima sosta nella stazione di Balvano, il treno 8017 ripartì alle 0.50 del 3 marzo. Faceva molto freddo, fino alle 22 aveva piovuto, pioggia mista a neve. In circa 20 minuti l’8017 avrebbe dovuto coprire la tratta sino alla successiva stazione di Bella-Muro. Dopo 1700 metri il treno entrò nella galleria delle Armi, 1692 metri di lunghezza in salita. Nella galleria ristagnavano ancora i gas venefici del treno transitato un’ora prima, l’8013. Dopo circa 500 metri, la locomotiva di testa cominciò a slittare, il treno perse velocità fino a fermarsi. Monossido e biossido di carbonio consumarono tutto l’ossigeno.Il macchinista della 480, la locomotiva di testa, perse quasi subito i sensi; ma, prima di svenire, spinse giù il fuochista; questo gesto gli salvò la vita, unico sopravvissuto degli equipaggi delle locomotive, perché rimase a terra sanguinante ma vicino ad un rigagnolo che gli permise di respirare. Il macchinista della seconda locomotiva, la più potente 476, tentò una manovra disperata: invertire la marcia e far retrocedere il treno. Non ne ebbe il tempo, sopraffatto dai gas perse conoscenza.La maggior parte dei viaggiatori passò dalla vita alla morte senza rendersene conto: persero conoscenza già spossati dalle massacranti condizioni del viaggio, stipati nei carri merci, assonnati. I soccorritori ne trovarono molti “ingessati” in pose naturali.Molte ore dopo il treno venne rimorchiato in stazione. Il medico condotto del paese, con cento fiale di adrenalina, correva da un carro all’altro per cercare di salvare più persone possibile, ma venne poi fatto allontanare dalle autorità giunte sul posto.Se gli Alleati fecero di tutto per rimuovere al più presto la sciagura (in tutti i sensi), l’inchiesta fu capillare. La causa fu individuata nella correlazione tra ristagno di monossido di carbonio e biossido di carbonio, e carenza d’ossigeno. Ma fini qui; alla capillarità dell’indagine non venne dato seguito; venne fatta poca luce su “responsabilità”, negligenze, concatenazione di cause. Come rivelò il «Times» nel 1951, l’esigenza primaria del governo alleato fu quella di “non divulgare e far dimenticare” nella contingenza bellica, per non deprimere il morale degli italiani. E ci riuscirono: fino alle pubblicazioni negli anni recenti, i giornali parlarono della strage fugacemente e con ricostruzioni confuse. In fin dei conti, per la relazione ufficiale del Ministero delle Comunicazioni, per la maggior parte i morti di Balvano erano “contrabbandieri” e “viaggiatori di frodo”.Tragedie di ieri? Tragedie di oggi! Come ieri in Basilicata, oggi in America Centrale: negli incidenti e nei deragliamenti dei lunghi treni merci che viaggiano in direzione nord, si contano numerose vittime, giovani e giovanissimi indocumentados clandestini che cercano di raggiungere gli USA nascosti nei carri. Vittime di un sistema brutale, che affama, che produce miseria estrema per molti ed infinita ricchezza per pochi, che costringe ad emigrare in condizioni disumane.Nel buio di una stretta galleria del profondo sud risuona ancor oggi l’urlo del macchinista della 476, nel disperato tentativo di salvare il carico di vite umane del suo treno facendolo retrocedere, prima di venire sopraffatto dai gas: O TUTTI DENTRO, O TUTTI FUORI!Oggi, settant’anni dopo Balvano, è più che mai attuale lottare contro questo marcio sistema, per la Rivoluzione comunista!

Margherita Cagol (Mara), fondatrice delle Brigate Rosse, è stata assassinata il 5 giugno 1975 alla Cascina Spiotta, sulle colline di Acqui Terme, durante il sequestro dell’industriale Vallarino Gancia. Era sul prato, seduta e con le mani alzate, ferita in modo lieve, quando un carabiniere ha sparato a bruciapelo sotto il braccio sinistro il proiettile che ha fermato il suo respiro.

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…una raffica
inchiodò
alla terra
il tenero sorriso…
l’erba di giugno
carezzò il suo viso
capelli sparsi
giocarono col vento…
(Agrippino Costa, Mara, 1991)

“Margherita per due anni è stata il dirigente più autorevole della colonna di Torino, composta di operai, e chi conosce gli operai della Fiat sa che ci vuole qualcosa di più che due occhi verdi, bellissimi fra l’altro, per farsi rispettare da loro” (M. Moretti)

 

BRIGATE ROSSE: Volantino di Commemorazione del 6 Giugno 1975

“Ai compagni dell’organizzazione, alle forze sinceramente
rivoluzionarie, a tutti i proletari. È caduta combattendo Margherita Cagol, “Mara”, dirigente comunista e membro del Comitato esecutivo delle Brigate Rosse.

La sua vita e la sua morte so
no un esempio che nessun combattente per la libertà potrà dimenticare. Fondatrice della nostra organizzazione, “Mara” ha dato un inestimabile contributo di intelligenza, di abnegazione, di umanità, alla nascita dell’autonomia operaia e della lotta armata per il comunismo. Comandante politico-militare di colonna, “Mara” ha saputo guidare vittoriosamente alcune fra le più importanti operazioni dell’organizzazione. Valga per tutte la liberazione di un nostro compagno dal carcere di Casale Monferrato. Non possiamo permetterci di versare lacrime sui nostri caduti, ma dobbiamo impararne la lezione di lealtà, coerenza, coraggio ed eroismo! È la guerra che decide in ultima analisi della questione del potere: la guerra di classe rivoluzionaria. E questa guerra ha un prezzo: un prezzo alto certamente, ma non così alto da farci preferire la schiavitù del lavoro salariato, la dittatura della borghesia nelle sue varianti fasciste o socialdemocratiche. Non è il voto che decide la conquista del potere; non è con una scheda che si conquista la libertà. Che tutti i sinceri rivoluzionari onorino la memoria di “Mara” meditando l’insegnamento politico che ha saputo dare con la sua scelta, con il suo lavoro, con la sua vita. Che mille braccia si protendano per raccogliere il suo fucile!
Noi, come ultimo saluto, le diciamo: “Mara”, un fiore è sbocciato, e questo fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria! Lotta armata per il comunismo”

Tonino Loris Paroli, Testimonianza al Progetto Memoria, Reggio Emilia 1995.

br_marac“[…] Mara era una dirigente comunista, una delle prime donne emancipate dell’epoca moderna e credeva alla donna come uno dei poli della societa’; determinante per l’emancipazione di tutti gli altri. Un giorno manifestando a lei le mie perplessità sulla poca presenza femminile nella nostra organizzazione, anche in relazione alla durezza del vivere clandestini tra soli maschi, mi disse di essere certa che la componente donna nell’arco di pochi anni sarebbe aumentata enormemente. Aveva avuto ragione. Infatti in pochi anni quasi tutte le organizzazioni armate erano dirette da una elevata componente femminile. E questo è uno degli aspetti più profondi della nostra storia, mai messo in luce da colo i quali hanno riversato su centinaia di libri tutti quei tentativi manipolati e disperati nel volerla spiegare.
Mara era una compagna vera e concreta e sapeva costruire relazioni semplici e complesse con tutti i compagni. Con lei non vedevi mai la rottura tra le discussioni politiche e il momento in cui si poteva suonare la chitarra e cantare, scherzare o ridere, o quando si cucinava o si era a tavola. Il tempo era per lei tutto dentro una scelta di vita e con dolcezza sapeva sempre armonizzare i momenti belli con quelli stressanti e angosciosi.
Sul piano personale è la compagna che mi aspetta all’imbocco dell’autostrada di Reggio Emilia, nel lontano ’74, quando faccio la scelta della clandestinità. Ed è lei che fin dal primo momento sa leggermi dentro e capire quanto per me questa scelta fosse anche una scelta sofferta, dato che avevo lasciato gli affetti personali, soprattutto quelli del figlio.
Questa sua comprensione era importante, per me era liberatoria, non mi costringeva, rispetto a certe persone tutte d’un blocco, a essere quello che non ero…
Sul piano politico sono molti i momenti cruciali dove Mara è esageratamente attiva, propulsiva e stimolante nei confronti di tutti nei della colonna di Torino. Un particolare importante: quando l’esecutivo decide di far entrare ‘Frate Mitra’ nelle BR, lei si oppone, politicamente condivideva il metodo di farlo entrare trasversalmente; asseriva che lui doveva inserirsi nel mondo di lavoro e solo in seguito a verifiche… avremmo valutato se e come farlo entrare nell’organizzazione. Nessuno la ascoltò. Frate Mitra si rivelò una spia facendo arrestare Curcio e Franceschini.
Ma il momento più rivelante, ricco e nel contempo lacerante è quello dei primi mesi del ’75, quando noi di Torino proponemmo di affrontare il problema dei nostri compagni prigionieri. Periodo ricco perché dopo tanti compagni arrestati avevamo rimesso assieme le forze in grado di riprendere l’iniziativa teorica e pratica della propaganda guerrigliera. Lacerante in quanto la proposta di Torino non era condivisa da molti compagni di altre colonne. Infatti alla proposta  operativa di liberare Curcio da Casale Monferrato, due compagni scelsero di uscire dall’organizzazione. Altri compagni sospettarono Mara di personalismo, in quanto moglie di Renato (ma se vi fosse stato in lei anche una quota di personalismo affettuoso verso il compagno da liberare era una cosa così grave?) il che non era assolutamente vero: noi di Torino stavamo lavorando da tempo anche su altre prigioni dove erano rinchiusi dei nostri compagni. Solo che proponemmo Casale dove le nostre inchieste avevano individuato dei punti vulnerabili più che altrove.
Alla fine di una serie di dibattiti riuscimmo a far passare la proposta e facemmo l’intervento alla prigione. La cosa riuscì: fu una delle più belle azioni guerrigliere delle BR, attorno alla quale il consenso e l’entusiasmo si manifestarono a livello di massa. Il giorno prima di quell’azione io e Mara ci appartammo in macchina in un viottolo per attendere il momento di fare un sopralluogo al passaggio a livello… E, in attesa che calassero le sbarre, ricordo quel tempo durato circa un’ora di totale mutismo tra me e lei, mentre ascoltavamo Bob Dylan. […] Di certo avevamo la consapevolezza del fatto che all’indomani dovevamo affrontare per la prima volta un attacco ad una struttura militare dello Stato. E benché il nostro intento fosse quello di fare tutto il possibile per evitare sparatorie, non sapevamo se era realizzabile: potevamo lasciarci anche la pelle. La paura è sempre in relazione a ciò che non sei in grado di prevedere, a ciò che non conosci esaurientemente e temi di non saper affrontare i problemi che ti pone.
Mentre parlo di Mara mi accorgo di avere il pensiero fisso alla cascina Spiotta su quel maledetto lenzuolo bianco che sovrasta il suo corpo. Quello è stato uno dei primi sipari calati sulla nostra storia. Ma la cascina Spiotta di Mara non è solo quel finale. Lei in quella nostra vare con diversi ettari di terra era molto attiva e coltivava di tutto, dalle verdure ai frutti e mi parlava spesso di ogni sorta di piante. Simpaticamente, con gesti rassomiglianti ai contadini, l’ho vista irrorare il vigneto su quella dolce rupe delle Langhe, dove il sole si confondeva sul sorriso del suo viso biondo trentino. Lei era una poetessa della vita, nella vita, per la vita; per cui manifestava sempre quella generosità nel suo essere compagna che oltrepassava tutti i limiti, fino a quello di vent’anni fa dove morimmo un po’ tutti sotto quel lenzuolo bianco, ma anche dove rinascemmo un po’ tutti.”

Da una lettera di Mara ai genitori
“Cari genitori, vi scrivo per dirvi che non dovete preoccuparmi troppo per me. Ora tocca a me e ai tanti compagni che vogliono combattere questo potere borghese ormai marcio continuare la lotta. Non pensate per favore che io sia un’incosciente. Grazie a voi sono cresciuta istruita, intelligente e soprattutto forte. E questa forza in questo momento me la sento tutta. È giusto e sacrosanto quello che sto facendo, la storia mi dà ragione come l’ha data alla Resistenza nel ’45. Ma voi direte, sono questi i mezzi da usare? Credetemi non ce ne sono altri. Questo stato di polizia si regge sulla forza delle armi e chi lo vuol combattere si deve mettere sullo stesso piano.”

La liberazione di Curcio dal carcere di Casale Monferrato.
A Mara. Un ricordo di vita, di lotta.

mara218 febbraio 1975. È giorno di colloqui nel carcere di Casale Monferrato. L’unico scadenzato refolo di vitalità che interrompe la grigia monotonia della piccola struttura. Poco più di quaranta detenuti e meno della metà di guardie carcerarie. Cinque uomini e una donna bionda fermano due macchine vicino all’ingresso. Nulla di strano. Lei suona e chiede di consegnare un pacco al marito. Il piantone apre. Il gesto è quasi automatico, il cambio di scena repentino. D’improvviso i suoi occhi vedono solo il mitra che la giovane dal bel volto e dal sorriso luminoso gli punta contro. Alla mente giunge quasi surreale l’intimazione di una voce femminile decisa: «Stai buono o sei un uomo morto». Parole ferme, non cupe. Due, forse tre uomini con la tuta blu degli operai della Sip staccano i fili del telefono. In mano scala e mitra. Mara e un compagno arrivano al corridoio dove sono le celle: «Renato… dove sei?»

 Lo sconforto dura un attimo. Curcio scende veloce dal piano di sopra e subito la loro macchina parte in direzione Alassio. Gli altri fanno perdere le loro tracce. Una ventina di brigatisti mobilitati per un’azione perfetta. Mara si toglie la parrucca bionda. Torna con i suoi capelli neri e occhi che si intuiscono verdi anche nella foto tessera in bianco e nero della sua patente falsa. Dove l’ovale regolare e allungato è incorniciato dalla pettinatura cotonata e ripiegata all’insù delle presentatrici televisive dell’epoca.

Le prigioni di Stato sono state violate. Una vittoria politica per l’organizzazione, un’azione dal forte simbolismo che colpisce e libera l’immaginario romantico. Un nucleo armato delle Brigate Rosse ha assaltato e occupato il carcere di Casale Monferrato liberando il compagno Renato Curcio. Questa operazione si inquadra nella guerra di resistenza al fascio di forze della controrivoluzione che oggi nel nostro paese sta attuando un vero e proprio “golpe bianco” seguendo le istruzioni dei superpadroni imperialisti Ford e Kissinger. […] Compito dell’avanguardia rivoluzionaria oggi è quello di combattere a partire dalle fabbriche, il golpismo bianco in tutte le sue manifestazioni, battere nello stesso tempo la repressione armata dello stato e il neocorporativismo dell’accordo sindacale. La liberazione dei detenuti politici fa parte di questo programma.
Liberiamo e organizziamo tutte le forze rivoluzionarie per la resistenza al golpe bianco.

Le polemiche fioccano, il generale Dalla Chiesa tuona contro chi ha lasciato il capo delle Brigate Rosse in un carcere «di cartapesta».

[…] Milano è per me una grande esperienza. Questa grande città che in un primo momento mi è parsa luminosa, piena di attrattive, mi appare sempre di più come un mostro feroce che divora tutto ciò che di naturale, di umano e di essenziale c’è nella vita. Milano è la barbarie, la vera faccia della società in cui viviamo. […] Questa società, che violenta ogni minuto tutti noi, togliendoci ogni cosa che possa in qualche modo emanciparci o farci sentire veramente quello che siamo (ci toglie la possibilità di coltivare la famiglia, di coltivare noi stessi, le nostre esigenze, i nostri bisogni, ci reprime a livello psicologico, fisiologico, etico, ci manipola nei bisogni, nell’informazione, ecc. ecc.) ha estremo bisogno di essere trasformata da un profondo processo rivoluzionario. […] Ebbene se pensiamo che tutto questo potrebbe essere eliminato benissimo (ti ricordi quando l’anno scorso ti dicevo che utilizzando al massimo tutti i progetti tecnologici studiati ed impiegandoli nel processo produttivo sarebbe possibile mantenere 10 miliardi di persone al livello del reddito medio attuale americano?) ma che questo non è possibile fin quando esisteranno sistemi politici come quello europeo o americano attuali. Tuttavia esistono moltissime condizioni oggi per trasformare questa società e sarebbe criminale (verso l’umanità) non sfruttarle. Tutto ciò che è possibile fare per combattere questo sistema è dovere farlo, perché questo io credo sia il senso profondo della nostra vita. […] La vita è una cosa troppo importante.” (Margherita – Mara – Cagol)

Un articolo bellissimo, che toglie il fiato  nel senso reale dell’espressione; infatti l’ho letto in apnea ed ho ricominciato a respirare solo dopo l’ultima parola. Sono brani dall’opera di Nicola Valentino “Senza corpo non si può vivere completo“, pubblicati nel sito Baruda.net (che fornisce anche l’url del testo integrale)
Valentina inizia con una breve introduzione, poi lascia che le parole di Nicola Valentino scorrano dentro il lettore, sempre più incisive.
L’articolo inizia così:

UN’EMOZIONE ED UN PIACERE OSPITARE QUEST’OPERA DI NICOLA VALENTINO.
Di Nicola, e con Nicola, c’è molto materiale su questo blog che fareste benissimo ad andarvi a leggere, una boccata di libertà le sue parole, sempre.
Così come quel che costruimmo nell’ergastolo di Santo Stefano, e che speriamo di ricominciare presto a vivere e costruire insieme.
Un diario pittorico scritto in questo periodo di quarantena e dedicato a Salvatore Ricciardi e Gigi Novelli.
Questi stralci provengono da un testo che potete integralmente leggere qui: 
Senza corpo non si può vivere completo 
“Senza corpo non si può vivere” è il titolo della serie di opere che ho creato tra i mesi di marzo e aprile del 2020.
Dal nove marzo mi ritrovo, come la quasi totalità delle persone in Italia, recluso agli arresti domiciliari per ragioni sanitarie collegate all’epidemia Covid-19, senza alcuna possibilità di uscire se non per limitatissime necessità, da dimostrare in caso di controllo delle forze di polizia. Appena questa condizione è stata istituita, nel mio corpo sono affiorate tutte le memorie dell’esperienza di reclusione all’ergastolo. Gli ultimi cinque anni della pena li ho trascorsi infatti in libertà condizionale con misure di libertà vigilata a ben vedere meno restrittive delle attuali. In questa nuova condizione infatti mi ritrovo con tutte le relazioni sociali: lavorative, affettive, amicali, ricreative, occasionali, amputate nella loro dimensione di scambio fra corpi, e un corpo de-socializzato viene ad essere minato nella sua umanità.
Ma oltre a questa reclusione domiciliare desocializzante il dispositivo che la nuova condizione ha maggiormente suscitato dal passato è che ogni decisione sulla mia vita sarà presa dallo Stato, nella forma ancora più ristretta del Governo: è lo Stato che ha deciso questo arresto, sarà lo Stato a determinarne modalità e durata in base a proprie valutazioni di ordine sanitario, politico, di opportunità… senza che né io e né a ben vedere altri milioni di persone in Italia, possiamo avere alcuna voce in capitolo. Questa impossibilità a decidere e ad autodeterminarsi in relazione con l’ambiente circostante è ciò che è stato definito anche come situazione estrema.

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ciao-salvoIl saluto che compagni e amici romani hanno voluto donare ieri a Salvatore Ricciardi è terminato con 16 automezzi della polizia e dei carabinieri, tra cui 7 blindati, intervenuti per bloccare le vie di san Lorenzo, elicotteri che volteggiavano su via dei Volsci, una trentina di persone identificate e il quartiere alle finestre. Una signora con le buste della spesa in mano indignata per l’occupazione poliziesca se n’è andata esclamando: «manco le Brigate rosse». Salvatore Ricciardi si è fatto riconoscere. Immediatamente le cronache online di alcuni giornali e siti di informazione (?), ripresi stamani anche da quotidiani come Repubblica, Giornale Messaggero, hanno diffuso una versione  dei fatti che definire fantasiosa è ancora poco, parlando di un corteo che per alcuni sarebbe partito dalla camera ardente del policlinico Umberto I, dove il corpo di Salvo è stato esposto per l’ultimo saluto di familiari ed amici, per poi dirigersi verso le strade di san Lorenzo fin sotto la sede di Radio Onda Rossa. Qui addirittura ci sarebbe stato un uso degli idranti per disperdere la folla in corteo… Nulla di tutto questo è avvenuto. Non sappiamo come si sia diffusa questa narrazione falsa della mattinata, forse si è trattato di un tentativo di giustificare ex-post l’imponente dispositivo di polizia mobilitato senza motivo sulla scia della circolare del ministero dell’Interno che ha lanciato allarmi contro possibili tensioni sociali e mobilitazioni delle «aree estremiste». Nel corso delle settimane, con un crescendo assai preoccupante, le forze dell’ordine hanno accentuato il loro margine di autonomia interpretativa delle misure restrittive previste nei decreti anticovid, accrescendo l’approccio repressivo rispetto all’iniziale atteggiamento dissuasivo, alimentando paure fantasmatiche per giustificare l’accrescimento del loro ruolo. L’azzeramento degli spazi sociali, la desertificazione urbana, la reclusione abitativa, l’annullamento della dialettica politica e sociale, hanno creato un vuoto che inevitabilmente viene occupato da altre forze. Bisognerà, appena le condizioni sanitarie lo permetteranno, tornare a riprendere le piazze, animare le strade e i marciapiedi, rioccupare la città, ridare vita ad una intensa dialettica sociale e politica.
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20130503_191232 (1)Al tempo della guerra mondiale
in una cella del carcere italiano di San Carlo
pieno di soldati arrestati, di ubriachi e di ladri,
un soldato socialista incise sul muro col lapis copiativo:
viva Lenin!
Su, in alto, nella cella semibuia, appena visibile, ma
scritto in maiuscole enormi.
Quando i secondini videro, mandarono un imbianchino con un secchio di calce
e quello, con un lungo pennello, imbiancò la scritta minacciosa.
Ma siccome, con la sua calce, aveva seguito soltanto i caratteri
ora c’è scritto nella cella, in bianco:
viva Lenin!
Soltanto un secondo imbianchino coprì il tutto con più largo pennello
sì che per lunghe ore non si vide più nulla. Ma al mattino,
quando la calce fu asciutta, ricomparve la scritta:
viva Lenin!
Allora i secondini mandarono contro la scritta un muratore armato di coltello.
E quello raschiò una lettera dopo l’altra, per un’ora buona.
E quand’ebbe finito, c’era nella cella, ormai senza colore
ma incisa a fondo nel muro, la scritta invincibile:
viva Lenin!
E ora levate il muro! Disse il soldato.

(Bertolt Brecht La scritta invincibile – 1934)

Il pugno di Salvo
foto di Valentina Perniciaro – Baruda

Domani, sabato 11 aprile, l’ultimo saluto a Salvatore Ricciardi nel quartiere San Lorenzo. Se non stessimo vivendo questa aberrante situazione di emergenza, lo avremmo accompagnato tutti noi che lo abbiamo incontrato conosciuto e amato, tutti coloro per i quali Salvo era una voce nell’etere, o che hanno letto le sue parole nel blog Contromaelstrom e nei bellissimi libri che ha scritto; saremmo stati in tanti a stringerci attorno a lui.

Questo ci è negato e ci fa soffrire.
Sarebbe bello che domani nelle nostre pagine sui social, nei blog, ovunque la rete ce lo permetta si alzasse un pugno con hashtag #unpugnopersalvo in segno di saluto e rispetto per questo Grande Uomo, che ci ha lasciato ma che sarà per sempre vivo e sorridente nei nostri cuori.
Credo che a Salvo sarebbe piaciuto per questo domani il mio pugno si alzerà.
«Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi,
altri che lottano un anno e sono più bravi,
ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi,
però ci sono quelli che lottano tutta la vita:
essi sono gli indispensabili».
Bertolt Brecht

Era inevitabile che mi tornassero in mente queste parole, perché Salvo, o “il Vecchio” come in molti lo conoscevano, è uno di quelli che per tutta la vita hanno lottato per costruire una società diversa, senza le morti sul lavoro, le galere, la scuola selettiva, le gerarchie e le guerre.

Ha iniziato da giovanissimo, forse istintivamente in un’Italia del dopoguerra, dove chi aveva combattuto per la Resistenza si barcamenava per sopravvivere e dove gli sciacalli del mercato nero ed i fascisti continuavano a spartirsi privilegi e posti di comando, poi in quel famigerato luglio del 1960, il luglio di Tambroni, dei fatti di Genova e della strage di Reggio Emilia.

È stato protagonista delle grandi battaglie sul lavoro, prima in un cantiere edile (stiamo parlando degli scioperi del 1962-63, quando in ballo c’erano la domenica intera di riposo, le otto ore, il salario annuo garantito e la cassa edile) poi come tecnico nelle ferrovie.

Ha svolto un’intensa attività sindacale partendo dalla CGIL fino ad essere uno dei protagonisti della fondazione dei comitati di base dei ferrovieri all’inizio degli anni 70.

Il 67 della Grecia dei colonnelli, le battaglie del ’68, l’autunno caldo, la scelta di lotta armata come militante delle brigate rosse e le lotte contro l’invivibilità dei carceri speciali con la rivolta di Trani, una vita di lotta che non ha mai mostrato stanchezza o cedimenti fino all’ultimo giorno della sua vita.

Tutto questo è Salvo e molto di più, Salvo è un Indispensabile

Nell’ottobre 2017 nel quartiere di Exarchia ad Atene è stata creata una struttura collettiva autogestita di bagno pubblico e lavanderia, nel pianoterra dello spazio occupato GARE (Kallidromiou 74).
I bagni sono aperti tutti i giorni dal lunedì al venerdì dalle 18 alle 20 e forniscono asciugamani, sapone, spazzolini da denti, dentifrici e rasoi puliti.
Un aiuto concreto, che fornisce servizi essenziali per chi vive ai margini della società, sia questi un senzatetto, un migrante o una persona che pur avendo un tetto non può permettersi di pagare le bolette.
L’iniziativa fu una risposta alla decisione infame del governo Tsipras, che il 28 settembre 2016 ottenne il via libera del Parlamento (152 voti a favore, 141 contrari) per la privatizzazione delle municipalizzate dell’acqua potabile di Atene e Salonicco. Questa era una delle tante condizioni poste dai creditori strozzini per dare al governo greco l’ennesima tranche di “aiuto” di 2,8 miliardi di euro. La privatizzazione dell’acqua servì in altri termini per pagare i creditori, i quali hanno contestualmente ottenuto da Tsipras la presidenza del nuovo fondo privato in cui sono confluite le società oggetto di privatizzazione; l’accordo tra Tsipras e creditori prevedeva che il Fondo avrebbe controllato le aziende dell’acqua potabile per 99 anni.
La privatizzazione, dimostrazione una volta di più eloquente del clamoroso fallimento del riformismo, ha comportato licenziamenti e peggioramento delle condizioni dei lavoratori coinvolti. Per questo sotto il Parlamento, nel giorno delle votazioni, hanno sfilato migliaia di lavoratori con cartelli di protesta piuttosto eloquenti: ”Ora venderete anche l’Acropoli!”. George Sinioris, capo dei lavoratori dell’azienda di acqua potabile ha dichiarato: “Stanno svendendo la ricchezza e la sovranità della nazione”.
Non so se questo spazio sia ancora in funzione, lo scoprirò la settimana prossima, quando per la prima volta sarò in Atene
Di seguito il testo di fondazione:

Struttura collettiva di bagno pubblico e lavatrice a Exarchia

GARE Occupation ha preso l’iniziativa di organizzare un bagno pubblico e una struttura di lavanderia. Dopo aver progettato in modo appropriato uno spazio precedentemente inutilizzato al piano terra dell’edificio, iniziamo a gestire la struttura, formando un corpo collettivo orizzontale che avrà la responsabilità politica e gestionale della struttura.Chiediamo a tutti coloro che riconoscono la necessità di una tale struttura sociale di partecipare equamente al suo funzionamento.
La pulizia fisica è un’esigenza chiave, fondamentale per la salute, il benessere e la libertà delle persone. Nel mondo capitalista, tuttavia, le infrastrutture idriche e di massa sono merci. Soprattutto durante questi anni di rapido saccheggio dei deboli finanziariamente, da parte dello stato e dei capi, l’accesso all’acqua è diventato un privilegio. Le strutture di assistenza pubblica sono state vendute a scopo di lucro, i senzatetto stanno crescendo e un gran numero di immigrati sta vivendo le stesse condizioni di povertà.
Il controllo sull’acqua crea un limite di classe. Coloro che non hanno accesso alla pulizia fisica diventano estranei, non istruiti e parassiti per la purezza superficiale, l’igiene e la speculazione dei privilegiati. La produzione di rifiuti è una condizione costituzionale della civiltà urbana. L’uno o quello le cui uniche risorse sono assegnate a lui sono la spazzatura del consumo privato, alienando materiale dal mondo e dal suo corpo e quindi interiorizzando la sua obsolescenza, rassegnando le dimissioni, isolato e lasciato a marcire per il bene della classe dirigente. Quanto più a lungo un uomo vive senza l’acqua che offre una protezione naturale dal contatto con gli sprechi del mondo urbano, tanto più difficile è invertire questo stato di sterminio di classe. L’esclusione idrica è una condanna della morte lenta.
L’edificio Kallidromiou 74 è un’infrastruttura che è stata ricostruita collettivamente contro l’abbandono, l’accumulazione privata e il controllo statale per soddisfare le esigenze sociali in termini di resistenza auto-organizzata alle istituzioni tiranniche. Il bagno pubblico indipendente serve la necessità di accesso gratuito all’acqua corrente e un’infrastruttura di pulizia di base per tutti e tutti i giorni. È un’impresa di esproprio sociale e di autogestione sulla base materiale delle risorse comuni e da questa posizione è uno spazio collettivo di sistemazione per chiunque si trovi in ​​uno stato di debolezza.
Nel corso della storia delle persone, l’acqua corrente è stata il loro luogo di incontro. Le città furono costruite vicino a fiumi, sorgenti e porti. Immaginiamo il bagno pubblico come luogo di incontro per senzatetto e senzatetto, per viaggiatori e viaggiatori, vicini e vicini, compagni e compagni che non riescono a trovare la libertà al di fuori della libertà comune. Un’oasi di solidarietà in un deserto desolato. Perché nel mondo che creiamo, non è rimasto nessuno.
TUTTI per TUTTI
Occupazione GARE”

fonte: https://www.embros.gr

Venerdì 26 Luglio 2019 inizia a diffondersi la notizia di “un carabiniere ucciso a Roma a coltellate da due nordafricani”.

Del carabiniere ucciso sinceramente non mi interessa, e non capisco i commenti di certi compagni, che sui social se ne dispiacciono. Per me i carabinieri sono quelli dei macellai Bava Beccaris e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Due secoli di crimini e nefandezze li contraddistinguono: dagli orrendi delitti, stragi, stupri, massacri che sono sommariamente stati descritti come “lotta al brigantaggio”, alla strage di Milano del 1898, in cui presero a cannonate la folla ridotta in miseria ed alla fame; dai massacri nel Corno d’Africa alla costruzione dei primi campi di sterminio.
Primi nella storia ad usare i gas contro le popolazioni civili, hanno giurato fedeltà al re e poi al fascismo  e hanno partecipato alla persecuzione ebraica agendo da supporto nell’applicazione delle leggi razziali e nella schedatura.
Sono stati i principali alleati della mafia, che hanno affiancato e supportato in tutto per ragioni di stabilità politica anticomunista, fino all’ultimo decennio del ventesimo secolo.
Non hanno mai cessato la loro opera di spionaggio e schedatura sul territorio nazionale e sono stati i principali fautori nell’organizzazione di golpe (ad esempio Borghese), di associazioni militari golpiste come la Gladio, di logge massoniche (P2). Sono i principali attori della strategia della tensione e il motore dello stragismo di stato e dei successivi depistaggi. Sono i portatori di pace … e di morte sui vari teatri di guerra.
Pattugliano e controllano basi militari Usa, caserme, tribunali, prefetture, procure, carceri, redazioni, televisione, costituiscono il grosso delle scorte dei politici. Sono il vero potere occulto che controlla lo stato.
placaLi vediamo quotidianamente con il mitra spianato in assetto di guerra sulle strade, li abbiamo visti quando hanno assaltato la Diaz, in Piazza Alimonda, quando hanno assassinato Carlo e gli sono passati sopra con la camionetta,  sono gli autori della strage di via Fracchia, sono gli stessi che hanno giustiziato Mara Cagol, che hanno sparato alla schiena di Francesco Lorusso e qui mi fermo perché la lista è troppo lunga.
I fatti di Roma sono a mio parere un regolamento di conti tra infami, che in effetti non mi colpisce e non mi riguarda. Le mie lacrime e la mia rabbia sono indirizzate verso i nostri morti, non ne spreco per il nemico.
Quello che, invece, mi fa incazzare è l’improvviso silenzio che ha seguito i commenti di fuoco vomitati dai soliti imbecilli al governo e dai loro accoliti, contro “l’assassino nordafricano, alto 1.80, con la parrucca bionda”; non appena è emerso che ad accoltellare il carabiniere sono stati due strafatti ragazzotti nordamericani, di razza caucasica e di origine probabilmente benestante (considerato l’hotel in cui alloggiavano) nessuno più ha scritto o commentato nulla.
Questi extracomunitari di lusso che ammazzano uno sbirro non indignano nessuno? Non sono “animali che approdano” nel nostro bel paese, che devono essere espulsi o condannati ai “lavori forzati” ( a proposito, qualcuno dovrebbe avvisare Salvini che i lavori forzati sono stati aboliti agli inizi del secolo scorso)?
In realtà non mi incazzo più di tanto per i vari Salvini, Meloni, Di Majo e per i loro lacchè giornalisti, hanno già il mio odio, l’incazzatura  sarebbe un inutile spreco di energie; quello che realmente mi fa incazzare e inorridire è la vox populi , l’imbecillità ingombrante e spaventosa di questi nostri tempi bui.
Gli anni di piombo fanno ormai parte della storia, per quanto tempo dovremo ancora sopportare l’orrendo fetore di questi anni di merda?

 

Aggiungo questo link che mi è appena stato segnalato: https://www.wired.it/attualita/politica/2019/07/27/bufala-nordafricani-carabiniere-forze-ordine/

 

 

 

 

 

 

Andrea Camilleri (Porto Empedocle, 6 settembre 1925 – Roma, 17 luglio 2019)

“Alla nascita ti danno il ticket in cui è compreso tutto: la malattia, la giovinezza, la maturità e anche la vecchiaia e la morte. Non puoi rifiutarti di morire perché è compreso nel biglietto. O l’accetti serenamente e te ne fai una ragione o sei un povero coglione!”

 

 

Con la tua matita hai saputo parlar d’amore e al contempo attaccare il potere.

Que la tierra sea ligera para ti